top of page

Novembre 2015

“le babbucce di abu kasem"

da “Il re e il cadavere” di Heinrich Zimmer

 

Chi non conosce la storia di Abu Kasem e delle sue babbucce?

Nella Bagdad dei suoi tempi quelle babbucce erano le più famose del loro stesso padrone – il grande avaro che passava la vita ad accumulare denaro – erano addirittura proverbiali.

Tutti le consideravano il segno tangibile della sua ripugnante rapacità. Perché Abu Kasem era ricco e tentava di nasconderlo: persino il più lacero mendicante della città si sarebbe vergognato di farsi trovare morto con ai piedi babbucce come quelle – tanto erano coperte di toppe!

Calzando queste cose miserabili e inseparabili dalla sua figura biblica, l'illustre uomo d'affari se ne andava ciabattando per il bazaar.  Un giorno gli capitò un affare particolarmente fortunato: riuscì ad accaparrarsi per un pezzo di pane una gran partita di ampolle di cristallo.  Pochi giorni dopo coronò l'impresa acquistando una grossa fornitura di essenza di rose da un mercante di profumi fallito.  La combinazione fu davvero un colpo gobbo e suscitò molti commenti nel bazaar.  Chiunque altro avrebbe celebrato l'avvenimento al solito modo, offrendo un piccolo banchetto a qualche collega. Anche Abu Kasem sentì il bisogno di concedersi qualche cosa. Decise di fare una visita ai bagni pubblici. Nel vestibolo, dove si lasciano abiti e scarpe, incontrò un conoscente che lo prese da parte e gli fece una ramanzina sullo stato delle sue babbucce. Lo vedevano tutti che erano importabili; un uomo d'affari così brillante doveva pur permettersi un paio di babbucce decenti. 

 

   

 

 

 

Abu Kasem esaminò quelle mostruosità a cui era affezionato, poi disse: “Sono anni che ci penso su; ma non sono poi così logore che io non le possa usare”. I due entrarono nel bagno.  Quando Abu Kasem tornò nel vestibolo a cambiarsi cosa vide!  Ma dov'erano le babbucce?  Erano sparite e al loro posto ce n'erano altre due – bellissime, lustre, evidentemente nuove di zecca.  Chissà che non fosse una sorpresa da parte di quell'amico che non poteva più sopportare di vedere il suo conoscente, più ricco di lui, ciabattare con quelle cosacce ai piedi?  Qualunque fosse la spiegazione, Abu Kasem se le infilò e con la coscienza tranquilla si allontanò dai bagni. Ma quando il giudice, suo conoscente, tornò  non trovò le sue babbucce, al loro posto c'erano due cose sbrindellate, ripugnanti che tutti riconobbero per le famigerate calzature di Abu Kasem.

Il giudice fece fuoco e fiamme, mandò a prendere il colpevole e lo fece imprigionare – la guardia del tribunale, infatti, aveva trovato gli oggetti smarriti ai piedi dell'avaro. Al vecchio costò molto caro liberarsi dalle grinfie della legge – perché il tribunale sapeva come ogni altro quanto fosse ricco. Ma almeno riebbe le sue care vecchie babbucce.

Triste e addolorato Abu Kasem tornò a casa e in un eccesso d'ira gettò i suoi tesori dalla finestra.

Caddero nel Tigri che scorreva fangoso accanto alla sua casa. Pochi giorni dopo alcuni pescatori del fiume credettero di aver preso un pesce particolarmente pesante, ma quando lo tirarono su  che cosa non videro, se non le famose babbucce dell'avaro? I chiodi avevano fatto vari buchi nella rete e, naturalmente gli uomini erano furibondi. Scagliarono gli oggetti inzuppati e pieni di fango dentro una finestra aperta. Si dà il casso che fosse la finestra di Abu Kasem.

I suoi beni, che tornavano a lui sfrecciando nell'aria, atterrarono con fracasso sulla tavola dove aveva disposto in fila quelle preziose ampolle di cristallo acquistate al mercato e ancor più preziose perché ricolme della rara essenza di rose e pronte per la vendita.  L'avaro si disperò: “Queste dannate babbucce non mi procureranno più guai!”  E così dicendo afferrò una pala, se ne andò lesto e silenzioso in giardino e scavò una buca per seppellirle.  Ma si dava il caso che il vicino di Abu Kasem lo stesse spiando – molto interessato a tutto ciò che succedeva nella casa del suo ricco vicino; inoltre come spesso accade tra vicini, non aveva alcun motivo particolare per desiderare il suo bene. 

“Quel vecchio avaro, con tutti i servi che ha” si disse “se ne va fuori e si scava una buca da sé. Lì dev'esserci sepolto un tesoro. Ma certo! E' ovvio!”  E così il vicino corse al palazzo del governatore e denunciò Abu Kasem che fu convocato dal governatore e quando raccontò che aveva scavato una buca solo per seppellire un paio di vecchie babbucce, tutti si sbellicarono dalle risa. Quanto più il famoso avaro insisteva, tanto più la sua storia sembrava incredibile e lui colpevole. 

Nell'emettere la sentenza il governatore tenne conto del tesoro sepolto e, sbalordito, Abu Kasem udì l'ammontare dell'ammenda.   Era fuori di sé. Maledisse in tutti i modi le babbucce.  Ma come liberarsene?  L'unica soluzione era portarle fuori dalla città.  Così fece e le gettò in uno stagno molto distante.  Quando si inabissarono tirò un lungo sospiro di sollievo.  Erano sparite finalmente!

Ma certo il diavolo doveva averci messo lo zampino, perché lo stagno era un serbatoio che alimentava la riserva d'acqua della città, e le babbucce furono risucchiate fino all'imboccatura del condotto e lo ostruirono.  Riparato il danno, i sorveglianti riconobbero le babbucce, e chi non le avrebbe riconosciute?  

Accusarono Abu Kasem dinnanzi  al governatore di aver insudiciato la riserva d'acqua della città; ed eccolo nuovamente in prigione. Fu punito con un'ammenda molto più gravosa delle precedenti. Che poteva fare? Pagò e riebbe le sue care vecchie babbucce.

Questa volta si sarebbe preso la rivincita e non avrebbero più potuto giocargli un altro tiro. Decise di bruciarle. Ma erano ancora bagnate, così le mise ad asciugare sul balcone.  Un cane vide quelle strane cose e, incuriosito, fece un balzo e ne afferrò una.  Ma giocando le fece cadere sulla via.  L'oggetto sciagurato scese roteando nell'aria da un'altezza considerevole e si abbatté sulla testa di una donna che passava.  Volle il caso che costei fosse incinta.  Lo spavento e la violenza del colpo la fecero abortire. Il marito corse dal giudice e reclamò i danni dal vecchio avaro.  Abu Kasem aveva quasi perduto il senno, ma fu costretto a pagare.  

Prima di allontanarsi barcollando dal tribunale, levò solennemente in alto le sventurate babbucce e gridò al giudice: “Mio signore, queste babbucce sono la causa fatale di tutte le mie sofferenze: questi dannati oggetti mi hanno ridotto in miseria. Degnatevi di ordinare che io non sia mai più ritenuto responsabile dei mali che esse certamente continueranno ad addensare sul mio capo”.

 

Il narratore orientale conclude con la seguente morale: il Cadì (ovvero il giudice) non poté rifiutare la supplica e Abu Kasem imparò a caro prezzo quale male possa venire dal non cambiare abbastanza spesso le babbucce?

Ma è davvero questa l'unica riflessione che possiamo raggranellare da questa celebre fiaba?

Che consiglio banale: non diventare schiavi dell'avarizia. 

Che dire dei misteriosi ghiribizzi del fato, che riportava sempre le babbucce al legittimo proprietario? E non c'è un qualche significato anche nello straordinario intrecciarsi di tutte le persone e di tutte le cose che fanno la loro parte nelle mani del caso – vicini, cani, funzionari, regolamenti di ogni genere, bagni pubblici e sistemi idraulici – permettendo al caso di svolgere il suo compito e di stringere più saldamente il nodo del destino?

L'aria è piena di queste minute particelle di fato che costituiscono l'atmosfera della vita e tutti i suoi eventi.

 

Con le babbucce di Abu Kasem ci addentriamo in una delle più vaste questioni che concernono la vita e il destino umani, quella che l'India affronterà direttamente nel formulare le concezioni di “KARMA” e di “MAYA”. Tutto quello che un essere umano prende dalla massa dei rotanti atomi delle possibilità e mette in rapporto diretto con sé si fonde col suo stesso essere in un ordito.

Se l'uomo crede che una cosa lo riguardi, vuol dire che essa lo riguarda davvero, e se è in rapporto con i suoi desideri e con le sue aspirazioni più profonde, coi suoi timori e con la trama nebulosa dei suoi pensieri, essa può diventare una parte importante del suo destino. 

E infine, se egli la percepisce come qualche cosa che mira alle radici della sua vita, allora vuol dire che quello è il suo tallone d'Achille.

D'altra parte, però, se uno riesce a distaccarsi dalle proprie idee e dalle proprie passioni e quindi a liberarsi da se stesso, viene automaticamente affrancato da tutte le cose che sembrano accidentali.

 

Due mondi si rispecchiano, e l'essere umano si trova in mezzo: il mondo esterno e il mondo interiore.

Ciò che unisce i due mondi esternamente – propensione, repulsione, interesse intellettuale – è il riflesso di una tensione interiore della quale non siamo immediatamente consapevoli, perchè noi stessi ci troviamo già all'interno di noi stessi, che lo vogliamo o no.

Abu Kasem ha lavorato alle sue babbucce con la stessa torva ostinazione che ha dedicato ai suoi affari. E' attaccato alla loro miseria quanto alle sue ricchezze. Le babbucce sono l'occultante maschera, e la seconda faccia della prosperità. 

E' significativo che egli debba fare personalmente tutti i passi necessari per liberarsene; non può lasciar nulla ai suoi servi. In altre parole, non può distaccarsi da loro. Anche quando si propone di distruggerle, è appassionatamente legato ad esse.

E la passione è reciproca; questo è il nodo centrale della storia. Agli oggetti inanimati spetta il ruolo di personaggi viventi. Gradualmente, e senza che ce ne accorgiamo, essi si caricano delle nostre tensioni, finché si magnetizzano e instaurano campi di forza che ci attraggono.

Le calzature di Abu Kasem sono il tessuto della sua personalità conscia e in più sono gli impulsi tangibili del suo inconscio: la somma complessiva di tutti questi desideri e quei successi coi quali egli si pavoneggia di fronte a se stesso e al mondo, e in virtù dei quali è diventato un personaggio sociale.

 

Le fiabe e i miti, di solito, sono a lieto fine: l'eroe uccide il drago, libera la fanciulla, doma l'ippogrifo e conquista l'arma fatata. 

Ma nella vita eroi simili sono rari. Le conversazioni quotidiane del bazar, i pettegolezzi del mercato e dei tribunali ci narrano una storia diversa: in luogo del raro miracolo del successo c'è la consueta commedia del fallimento; non c'è più Perseo che uccide Medusa e salva Andromeda dal mostro marino, ma Abu che arriva con le sue miserabili babbucce. 

Abu Kasem è certo il tipo più frequente nella vita di ogni giorno. Qui si tratta più di una tragicommedia che di opera mitologica. 

E così… cambiamoci le scarpe. Fosse così semplice!!!

Purtroppo quelle vecchie, serbate e rappezzate amorevolmente per tutta la vita, ritornano sempre, tenaci e caparbie – la favola insegna – anche quando abbiamo finalmente deciso di buttarle via. 

Chi deve liberare Abu Kasem da se stesso? Alla fine Abu aveva supplicato il giudice di non ritenerlo responsabile, se non altro, di qualsiasi futura diavoleria le babbucce potessero combinare. Ma il giudice gli aveva riso in faccia. 

E il nostro giudice non riderà, forse? 

 

Piantare un seme

Secondo la formula indiana l'uomo pianta il seme o i semi e non bada alla loro crescita. Il seme germoglia e matura, e allora ciascuno deve mangiare del frutto del proprio campo. Non solo le nostre azioni, ma anche le nostre omissioni diventano il nostro destino. 

Anche le cose che non abbiamo saputo volere sono annoverate tra le nostre intenzioni e i nostri successi, e possono svilupparsi dando luogo a eventi di grande importanza. 

Oggi è il risultato di ieri, e oggi è anche la causa di domani; ciò che era la causa diventa l'effetto e l'effetto si trasforma nella causa, e l'una scorre dentro l'altro. Non esiste alcun momento in cui la causa non sia anche l'effetto. 

Tale è la legge del KARMA. Una rete finemente intessuta... robusti i suoi fili delicati.

Illustrazione: Boris Indrikov

bottom of page