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Ottobre 2015

“IL DILETTANTE FRA I SIMBOLI”

da “Il re e il cadavere” di Heinrich Zimmer

 

Il raccontare storie è stato, nei secoli, sia una cosa seria sia un passatempo spensierato. Un anno dopo l'altro le storie vengono concepite, affidate alla scrittura, divorate e dimenticate. 

Che ne è di loro? Alcune sopravvivono, e allora, come semi sparsi dal vento, volano di generazione in generazione, propagando nuove storie e dispensando nutrimento spirituale a molti popoli. La maggior parte del nostro retaggio letterario ci è giunta in questo modo, da epoche remote e da lontani, sconosciuti angoli del mondo.

Ogni nuovo poeta vi aggiunge qualcosa della sostanza della propria immaginazione, e i semi così nutriti riprendono a vivere.

La loro facoltà di germinare è perenne, attende solo d'essere stimolata. E così, sebbene di quando in quando alcune varietà sembrino essersi estinte, esse un giorno riappaiono, buttando fuori nuovamente i loro germogli caratteristici, freschi e verdi come prima.

 

La fiaba tradizionale e i temi a essa affini sono stati discussi in modo esauriente dal punto di vista dell'antropologo, dello storico, dello studioso di letteratura e del poeta, ma è sorprendente quanto poco abbia avuto da dire lo psicologo. 

La psicologia proietta un raggio X sulle immagini simboliche della tradizione popolare, portando alla luce fondamentali elementi strutturali che prima erano immersi nelle tenebre. L'unica difficoltà sta nel fatto che l'interpretazione delle forme scoperte non può essere ridotta a un sistema sicuro. Perché nei veri simboli c'è qualche cosa che non si può circoscrivere. 

Essi sono inesauribili nel loro potere di evocare e di istruire. È per questo che, quando si avventura nel campo dell'interpretazione del folklore, lo scienziato, lo psicologo scientifico sa di trovarsi su un terreno molto pericoloso, incerto e ambiguo. 

 

Illustrazione: "CoFFeya", di Boris Indrikov

I significati devono essere costantemente riletti e ricompresi. Ed è tutt'altro che un lavoro di metodo, quello di interpretare metamorfosi sempre imprevedibili e stupefacenti. Nessuno scienziato sistematico che tenga molto alla propria reputazione si esporrebbe volentieri ai rischi dell'avventura. Questo quindi, non può che essere un compito del temerario dilettante. 

 

Il dilettante è una persona che prende piacere (diletto) a qualche cosa. I saggi seguenti sono dedicati a coloro che si dilettano di simboli, amano  conversare con essi e amano vivere tenendoli continuamente presenti.

Non appena abbandoniamo questo atteggiamento dilettantesco nei confronti delle immagini del folklore e del mito, e cominciamo a essere certi della loro corretta interpretazione (in quanto professionisti della comprensione, che maneggiano gli utensili con un metodo infallibile) ci priviamo del contatto vivificante, dell'assalto demoniaco e ispiratore che è effetto della loro virtù intrinseca.

Il metodo, o piuttosto l'abitudine di ridurre ciò che non ci è familiare a ciò che ci è ben noto, è una vecchia, vecchissima strada che conduce alla frustrazione intellettuale. 

 

Tutte le volte che rifiutiamo di lasciarci sbilanciare da una nuova concezione rivelatrice rimbalzata dall'urto con un simbolo senza tempo fuori dalle profondità della nostra immaginazione, ci defraudiamo del frutto di un incontro con la saggezza dei millenni. Poiché non abbiamo un atteggiamento ricettivo, non riceviamo nulla; e ci è negata la grazia di conversare con gli dei.

La caratteristica del dilettante sta nel dilettarsi della natura sempre preliminare della sua comprensione, che non raggiungerà mai il suo culmine. 

 

Il diletto, d'altra parte, libera in noi l'intuizione creativa, permettendole di vivificarsi al contatto dell'affascinante scrittura delle antiche favole e figure simboliche. E allora, indisturbati dalle critiche di coloro che si basano su un metodo il cui biasimo è ispirato in larga misura  da quel che si potrebbe chiamare un'agorafobia cronica – un timore morboso di fronte all'infinità virtuale che si schiude continuamente dai tratti criptici dell'espressiva scrittura pittografica che è loro professione esaminare – possiamo permetterci di dare sfogo a tutte le serie di reazioni creative che ci vengono suggerite dalla nostra intelligenza immaginativa. Non potremo mai studiare gli abissi sino in fondo – di ciò possiamo esser certi; ma non c'è nessun altro che possa farlo, del resto.

E un sorso della fresca acqua della vita preso nella coppa delle mani è più dolce di un intero serbatoio di dogma, munito di tubature e garantito.

 

“L'abbondanza attinge dall'abbondanza, eppure l'abbondanza rimane”. Così dice una bella, antica massima delle UPANISAD dell'India. 

Ciò a cui si riferiva originariamente era l'idea che la pienezza del nostro universo – esteso nello spazio, e con la sua miriade di sfere rotanti e splendenti, brulicanti delle schiere degli esseri animati – proceda da una fonte sovrabbondante di sostanza trascendente e di energia potenziale: l'abbondanza di questo mondo è attinta da quell'abbondanza di essere eterno, e tuttavia, poiché il potenziale soprannaturale non può diminuire, l'abbondanza rimane, per quanto grande sia stata la donazione che ha profuso.

 

Ma tutti i veri simboli, tutte le immagini mitiche, si riferiscono in un modo o nell'altro a questa idea, e sono anch'essi dotati della virtù miracolosa di questa inesauribilità. A ogni schizzo che la nostra intelligenza immaginativa fa di loro, un universo di significato si rivela allo spirito; e se non è pienezza questa... Eppure ne rimangono molte altre. Qualunque sia la lettura accessibile ora alla nostra vista, essa non può certo essere definitiva. Può essere solo una vaga idea.

 

Heinrich Zimmer così introduce i saggi del suo libro: “IL RE E IL CADAVERE - Storie della vittoria dell'anima sul male" (Edit. ADELPHI). L'autore conclude questa premessa riprendendo i termini con cui egli si vuole presentare, cioè come dilettante fra i simboli: i saggi che seguono vogliono essere soltanto degli esempi di come si può conversare con le figure affascinanti del folklore e del mito.

Questo libro è un manuale di conversazione, dice Zimmer, un libro di lettura per principianti, un'introduzione alla grammatica di una scrittura figurata, criptica ma amabilissima. E poiché riguardo a questa scienza d'interpretazione dei simboli anche il lettore progredito non potrà non scoprire, di tanto in tanto, di essere ancora un principiante, i saggi che seguono sono dedicati anche a lui.

 

Il diletto che egli può provare nel rileggere i ben noti simboli della vita, gli permetterà di misurare fin a che punto il suo contatto di tutta una vita con loro lo abbia pervaso della loro abbondanza di natura e di spirito. Il vero dilettante sarà sempre pronto a ricominciare daccapo. E sarà in lui che i semi prodigiosi del passato metteranno radici e cresceranno meravigliosamente.

 

                                                                                                              *** *** ***

 

Heinrich Zimmer (1840-1943). Studioso delle religioni, orientalista tedesco, favolista, è stato uno dei più autorevoli studiosi della civiltà indiana del nostro secolo. 

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